ROMA. Il latitante Bruno Crisafi di San Luca, condannato in primo grado a 20 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga, aggravata dal metodo mafioso, si è costituito all'aeroporto di Fiumicino.
L'uomo era proveniente da Perth, in Australia, dove da tempo aveva trovato rifugio grazie a dei parenti. All'arrivo ha trovato i finanzieri del Gico e gli agenti della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo (Sco) che, con la collaborazione della polizia di Frontiera Aerea, lo hanno arrestato e portato in carcere.
Crisafi era sfuggito, nel 2015, a un'operazione antidroga eseguita in Italia e Spagna dai militari del Comando provinciale della Guardia di finanza in collaborazione con personale della locale Questura nei confronti di 39 soggetti ritenuti appartenenti ad un’organizzazione criminale operante nella Capitale e collegata alle temutissime cosche di ‘ndrangheta “Pelle-Nirta-Giorgi alias Cicero di San Luca.
Le indagini, coordinate dalla Dda capitolina, avevano consentito di ricostruire l’operatività di un gruppo criminale che, oltre ad essere specializzato nel narcotraffico internazionale, si era reso responsabile anche di gravi fatti di sangue avvenuti nella Capitale.
In particolare, per quanto riguarda il reato transnazionale, l’unità antidroga del Gico del Nucleo di polizia tributaria è riuscita a ricostruire le rotte delle ingenti partite di droga importate nella Capitale riuscendo a sequestrare ingenti partite di cocaina e hascisc.
La cellula criminale, forte di propri referenti, stanziati in Colombia e Marocco con il compito di trattare, alla pari, con i locali narcos, era intenzionata a monopolizzare il mercato della droga nella città di Roma diventando referente affidabile anche per altre organizzazioni criminali operanti sul territorio collegate ad altre ‘ndrine ed alla camorra; il tutto per un giro d’affari milionario che, inevitabilmente, avrebbe inquinato il circuito dell’economia legale.
La Squadra mobile romana, invece, aveva arrestato gli autori dell’omicidio del boss della ‘ndrangheta Vincenzo Femia, ritenuto il referente romano della cosca Nirta-Scalzone di San Luca, ucciso a Roma il 24 gennaio del 2013, ad opera di un commando mafioso composto da 5 killer calabresi.
Gli esponenti apicali del sodalizio investigato, sebbene originari di San Luca, erano da anni radicati nella città di Roma, nei quartieri Appio, San Giovanni, Centocelle, Primavalle ed Aurelio, dove potevano contare su una fitta rete di connivenze che garantivano loro di vivere in completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti.
Il sodalizio criminale, gerarchicamente organizzato, aveva ramificazioni anche a Genova, Milano e Torino dove aveva basi logistiche per il momentaneo stoccaggio delle partite di droga importate.
Le indagini avevano svelato i dettagli delle rotte seguite dalle partite di stupefacente per giungere in Italia: l’organizzazione criminale poteva vantare propri fidati emissari in Marocco (tra i quali l’allora latitante internazionale Marco Torello Rollero, arrestato ed estradato in Italia il 9 agosto dello scorso anno ed in Colombia, i quali, rifugiati in quei paesi, trattavano - con i referenti locali del narcotraffico - l’acquisto di ingenti partite di stupefacenti, da importare attraverso l’utilizzo di container commerciali, ovvero allestendo vere e proprie traversate transoceaniche e nel mediterraneo con imbarcazioni private.
In Italia, invece, la filiera della vendita all’ingrosso della droga era curata da Andrea Rollero e dai fratelli Bruno e Vincenzo Crisafi che, contigui alla cosca di ‘ndragheta Giorgi alias Cicero, benché residenti a San Luca, avevano trovato dimora abituale nella Capitale, grazie ad una fidata rete di connivenze.
Nel corso degli arresti eseguiti nel 2015, Bruno Crisafi si era reso irreperibile, abbandonando il territorio nazionale e dichiarandosi latitante.
Nel frattempo, comunque, il Tribunale di Roma, nel maggio 2016, ha condannato in primo grado Crisafi alla pena di anni 20 di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso.
Braccato dalle ricerche, supportate peraltro dall’estensione internazionale dei provvedimenti restrittivi, Bruno Crisafi ha deciso di costituirsi, presentandosi all’aeroporto di Fiumicino, in arrivo da Perth, in Australia.
All’arrivo ha trovato i finanzieri del Gico e gli agenti della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo che, con la collaborazione della Polizia di Frontiera Aerea di Fiumicino, hanno provveduto al suo arresto e alla conseguente traduzione in carcere.
Nei confronti di Crisafi, che da tempo aveva trovato rifugio a Perth (Australia) presso alcuni parenti, erano state avviate dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di finanza mirate iniziative di cooperazione investigativa e giudiziaria che recentemente hanno consentito alle autorità australiane di respingere la sua richiesta di visto per soggiornare in quel paese.
L’arresto del soggetto rientra nel quadro di una più ampia collaborazione operativa avviata dallo Sco e dal Servizio per la cooperazione internazionale di polizia con la Polizia Federale Australiana, per disarticolare, anche in Australia, l’operatività di sodalizi di matrice calabrese legati da tradizionali vincoli con famiglie della locride e del versante ionico-reggino.
Al riguardo, nei mesi scorsi, era stato promosso uno specifico progetto, denominato “Ausita”, finalizzato ad una più stretta collaborazione con la polizia federale australiana, analogamente a quanto avviene con il Federal Bureau of Investigation statunitense (Fbi).
L'uomo era proveniente da Perth, in Australia, dove da tempo aveva trovato rifugio grazie a dei parenti. All'arrivo ha trovato i finanzieri del Gico e gli agenti della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo (Sco) che, con la collaborazione della polizia di Frontiera Aerea, lo hanno arrestato e portato in carcere.
Crisafi era sfuggito, nel 2015, a un'operazione antidroga eseguita in Italia e Spagna dai militari del Comando provinciale della Guardia di finanza in collaborazione con personale della locale Questura nei confronti di 39 soggetti ritenuti appartenenti ad un’organizzazione criminale operante nella Capitale e collegata alle temutissime cosche di ‘ndrangheta “Pelle-Nirta-Giorgi alias Cicero di San Luca.
Le indagini, coordinate dalla Dda capitolina, avevano consentito di ricostruire l’operatività di un gruppo criminale che, oltre ad essere specializzato nel narcotraffico internazionale, si era reso responsabile anche di gravi fatti di sangue avvenuti nella Capitale.
In particolare, per quanto riguarda il reato transnazionale, l’unità antidroga del Gico del Nucleo di polizia tributaria è riuscita a ricostruire le rotte delle ingenti partite di droga importate nella Capitale riuscendo a sequestrare ingenti partite di cocaina e hascisc.
La cellula criminale, forte di propri referenti, stanziati in Colombia e Marocco con il compito di trattare, alla pari, con i locali narcos, era intenzionata a monopolizzare il mercato della droga nella città di Roma diventando referente affidabile anche per altre organizzazioni criminali operanti sul territorio collegate ad altre ‘ndrine ed alla camorra; il tutto per un giro d’affari milionario che, inevitabilmente, avrebbe inquinato il circuito dell’economia legale.
La Squadra mobile romana, invece, aveva arrestato gli autori dell’omicidio del boss della ‘ndrangheta Vincenzo Femia, ritenuto il referente romano della cosca Nirta-Scalzone di San Luca, ucciso a Roma il 24 gennaio del 2013, ad opera di un commando mafioso composto da 5 killer calabresi.
Gli esponenti apicali del sodalizio investigato, sebbene originari di San Luca, erano da anni radicati nella città di Roma, nei quartieri Appio, San Giovanni, Centocelle, Primavalle ed Aurelio, dove potevano contare su una fitta rete di connivenze che garantivano loro di vivere in completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti.
Il sodalizio criminale, gerarchicamente organizzato, aveva ramificazioni anche a Genova, Milano e Torino dove aveva basi logistiche per il momentaneo stoccaggio delle partite di droga importate.
Le indagini avevano svelato i dettagli delle rotte seguite dalle partite di stupefacente per giungere in Italia: l’organizzazione criminale poteva vantare propri fidati emissari in Marocco (tra i quali l’allora latitante internazionale Marco Torello Rollero, arrestato ed estradato in Italia il 9 agosto dello scorso anno ed in Colombia, i quali, rifugiati in quei paesi, trattavano - con i referenti locali del narcotraffico - l’acquisto di ingenti partite di stupefacenti, da importare attraverso l’utilizzo di container commerciali, ovvero allestendo vere e proprie traversate transoceaniche e nel mediterraneo con imbarcazioni private.
In Italia, invece, la filiera della vendita all’ingrosso della droga era curata da Andrea Rollero e dai fratelli Bruno e Vincenzo Crisafi che, contigui alla cosca di ‘ndragheta Giorgi alias Cicero, benché residenti a San Luca, avevano trovato dimora abituale nella Capitale, grazie ad una fidata rete di connivenze.
Nel corso degli arresti eseguiti nel 2015, Bruno Crisafi si era reso irreperibile, abbandonando il territorio nazionale e dichiarandosi latitante.
Nel frattempo, comunque, il Tribunale di Roma, nel maggio 2016, ha condannato in primo grado Crisafi alla pena di anni 20 di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso.
Braccato dalle ricerche, supportate peraltro dall’estensione internazionale dei provvedimenti restrittivi, Bruno Crisafi ha deciso di costituirsi, presentandosi all’aeroporto di Fiumicino, in arrivo da Perth, in Australia.
All’arrivo ha trovato i finanzieri del Gico e gli agenti della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo che, con la collaborazione della Polizia di Frontiera Aerea di Fiumicino, hanno provveduto al suo arresto e alla conseguente traduzione in carcere.
Nei confronti di Crisafi, che da tempo aveva trovato rifugio a Perth (Australia) presso alcuni parenti, erano state avviate dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di finanza mirate iniziative di cooperazione investigativa e giudiziaria che recentemente hanno consentito alle autorità australiane di respingere la sua richiesta di visto per soggiornare in quel paese.
L’arresto del soggetto rientra nel quadro di una più ampia collaborazione operativa avviata dallo Sco e dal Servizio per la cooperazione internazionale di polizia con la Polizia Federale Australiana, per disarticolare, anche in Australia, l’operatività di sodalizi di matrice calabrese legati da tradizionali vincoli con famiglie della locride e del versante ionico-reggino.
Al riguardo, nei mesi scorsi, era stato promosso uno specifico progetto, denominato “Ausita”, finalizzato ad una più stretta collaborazione con la polizia federale australiana, analogamente a quanto avviene con il Federal Bureau of Investigation statunitense (Fbi).
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