CATANIA. Personale della locale Direzione investigativa antimafia, diretta dal dottor Renato Panvino, ha eseguito il decreto di confisca beni emesso dal Tribunale di Catania accogliendo la proposta della Direzione distrettuale antimafia etnea, in esito alle indagini eseguite dalla Dia, nei confronti di Giuseppe Faro, 58 anni, noto imprenditore a capo di imprese operanti nel settore
dell’edilizia e del movimento terra, ritenuto vicino all’organizzazione mafiosa facente capo al clan “La Rocca”, affiliata alla potente famiglia mafiosa “Santapaola” di cui sarebbe rappresentante nel territorio di influenza di Caltagirone.
Giuseppe Faro, che annovera una condanna per una serie di rapine ai danni di autotrasportatori, è stato coinvolto nell’operazione di polizia denominata “Calatino”, condotta dalla Dia di Catania nel 2000 nei confronti del clan mafioso operante nel territorio di Caltagirone e comuni viciniori, storicamente capeggiato dal potente e considerato boss Francesco La Rocca (emerso anche in numerosi “pizzini” della corrispondenza con Bernardo Provenzano). Sulla base delle risultanze investigative Faro è stato giudicato e condannato, con rito abbreviato, alla pena di 3 anni di reclusione per il reato di estorsione in concorso, con l’aggravante mafiosa.
La figura di Giuseppe Faro emerge inoltre, seppur non colpito da provvedimenti giudiziari, anche nell’operazione di polizia denominata “Iblis”, nell’ambito della quale da una conversazione ambientale, lo stesso viene indicato quale soggetto sul quale il noto boss Vincenzo Aiello, all’epoca rappresentante provinciale di “Cosa Nostra”, poteva contare per l’illecita aggiudicazione di gare di appalto.
Con l’odierno provvedimento Faro è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS per la durata di 2 anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e presentazione bisettimanale all’Autorità di PS territorialmente competente, nonchè al pagamento di una cauzione di 5.000 euro.
Le indagini di natura economico-finanziaria e patrimoniale, delegate dalla locale Dda alla Dia etnea e riguardanti il periodo compreso tra il 1992 ed il 2011, finalizzate a rilevare la capacità reddituale di Giuseppe Faro e del suo nucleo familiare, hanno permesso di accertare forti profili sperequativi tra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto, tali da fondare la presunzione, condivisa dalla Procura distrettuale antimafia di Catania e accolta dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catania, di una illecita acquisizione patrimoniale derivante dalle attività delittuose connesse all’organico e prolungato rapporto di frequentazione di Giuseppe Faro con esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Catania e Caltagirone.
Dalle indagini espletate dalla Dia si è, inoltre, rilevato come Faro, dopo avere costituito imprese e società operanti soprattutto nel settore dell’edilizia e del movimento terra nonché la disponibilità di due cave estrattive ubicate nel territorio di Palagonia e Licodia Eubea, successivamente all’arresto avvenuto nell’anno 2001, abbia preferito eclissarsi dalla scena economica, delegando a moglie e figli il compito di incrementare il patrimonio di famiglia, investendone i frutti delle attività nell’acquisto di quote societarie, nella titolarità di imprese, nell’acquisto di numerosi immobili e autoveicoli.
Il patrimonio oggi sottoposto a confisca è stato stimato complessivamente in sei milioni e settecento mila euro ed è costituito da quote societarie e numerose società operanti perlopiù nel settore edile-immobiliare, terreni, immobili e fabbricati siti nei comuni di Palagonia (Catania), San Zenone degli Ezzelini (Treviso), Albignasego (Padova), Surbo (Lecce), autocarri e autovetture, oltre a rapporti bancari e postali su tutto il territorio nazionale.
dell’edilizia e del movimento terra, ritenuto vicino all’organizzazione mafiosa facente capo al clan “La Rocca”, affiliata alla potente famiglia mafiosa “Santapaola” di cui sarebbe rappresentante nel territorio di influenza di Caltagirone.
Giuseppe Faro, che annovera una condanna per una serie di rapine ai danni di autotrasportatori, è stato coinvolto nell’operazione di polizia denominata “Calatino”, condotta dalla Dia di Catania nel 2000 nei confronti del clan mafioso operante nel territorio di Caltagirone e comuni viciniori, storicamente capeggiato dal potente e considerato boss Francesco La Rocca (emerso anche in numerosi “pizzini” della corrispondenza con Bernardo Provenzano). Sulla base delle risultanze investigative Faro è stato giudicato e condannato, con rito abbreviato, alla pena di 3 anni di reclusione per il reato di estorsione in concorso, con l’aggravante mafiosa.
La figura di Giuseppe Faro emerge inoltre, seppur non colpito da provvedimenti giudiziari, anche nell’operazione di polizia denominata “Iblis”, nell’ambito della quale da una conversazione ambientale, lo stesso viene indicato quale soggetto sul quale il noto boss Vincenzo Aiello, all’epoca rappresentante provinciale di “Cosa Nostra”, poteva contare per l’illecita aggiudicazione di gare di appalto.
Con l’odierno provvedimento Faro è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS per la durata di 2 anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e presentazione bisettimanale all’Autorità di PS territorialmente competente, nonchè al pagamento di una cauzione di 5.000 euro.
Le indagini di natura economico-finanziaria e patrimoniale, delegate dalla locale Dda alla Dia etnea e riguardanti il periodo compreso tra il 1992 ed il 2011, finalizzate a rilevare la capacità reddituale di Giuseppe Faro e del suo nucleo familiare, hanno permesso di accertare forti profili sperequativi tra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto, tali da fondare la presunzione, condivisa dalla Procura distrettuale antimafia di Catania e accolta dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catania, di una illecita acquisizione patrimoniale derivante dalle attività delittuose connesse all’organico e prolungato rapporto di frequentazione di Giuseppe Faro con esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Catania e Caltagirone.
Dalle indagini espletate dalla Dia si è, inoltre, rilevato come Faro, dopo avere costituito imprese e società operanti soprattutto nel settore dell’edilizia e del movimento terra nonché la disponibilità di due cave estrattive ubicate nel territorio di Palagonia e Licodia Eubea, successivamente all’arresto avvenuto nell’anno 2001, abbia preferito eclissarsi dalla scena economica, delegando a moglie e figli il compito di incrementare il patrimonio di famiglia, investendone i frutti delle attività nell’acquisto di quote societarie, nella titolarità di imprese, nell’acquisto di numerosi immobili e autoveicoli.
Il patrimonio oggi sottoposto a confisca è stato stimato complessivamente in sei milioni e settecento mila euro ed è costituito da quote societarie e numerose società operanti perlopiù nel settore edile-immobiliare, terreni, immobili e fabbricati siti nei comuni di Palagonia (Catania), San Zenone degli Ezzelini (Treviso), Albignasego (Padova), Surbo (Lecce), autocarri e autovetture, oltre a rapporti bancari e postali su tutto il territorio nazionale.
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