mercoledì 26 luglio 2017

'NDRANGHETA STRAGISTA. Fatta luce sugli attentati degli anni '90 contro i carabinieri (VIDEO)

REGGIO CALABRIA. A conclusione di complesse ed articolate indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica e dalla Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo - svolte dalla Polizia di Stato attraverso la Squadra mobile reggina e il Servizio centrale operativo, per tutte le attività investigative e di riscontro relative alla ‘ndrangheta, nonché dal Servizio centrale antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di prevenzione per quelle riguardanti i profili di matrice terroristica delle cosiddette stragi continentali (via dei Georgofili a Firenze, via Fauro, San Giovanni in Laterano, San Giorgio al Velabro a Roma, via Palestro a Milano) e le successive rivendicazioni di Falange Armata, il gip Adriana Trapani, sulla base di una richiesta di misura cautelare ampia ed articolata, ha emesso l’Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due persone indicati esponenti apicali della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra, eseguita questa mattina dalle strutture operative della Polizia di Stato, con il concorso dei carabinieri del Comando provinciale.


Le persone colpite dal provvedimento sono: Rocco Santo Filippone, 77 anni, originario di Anoia e residente a Melicucco;  Giuseppe Graviano, 54 anni, di Palermo, capo del mandamento mafioso di Brancaccio, coordinatore riconosciuto (con sentenze definitive) delle cosiddette stragi “continentali” eseguite da Cosa Nostra, attualmente detenuto nel carcere di Terni.

Entrambi i soggetti sono accusati di essere i mandanti, in concorso fra loro e con Giuseppe Calabrò, Consolato Villani (entrambi già condannati in via definitiva quali materiali esecutori di tali fatti) e Demetrio Lo Giudice, detto Mimmo, deceduto, del tentato omicidio ai danni dei militari dell’Arma Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo (commesso in località Saracinello di Reggio Calabria nella notte fra l’1 e il 2 dicembre 1993); dell’omicidio dei militari dell’Arma dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, nei cui confronti venivano esplosi almeno tre raffiche di colpi d'arma da fuoco utilizzando un mitra M12 che attingevano i predetti militari in parti vitali e danneggiavano l’autovettura a loro in uso (fatti commessi sull’autostrada SA-RC, all’altezza di Scilla, il 18 gennaio 1994); nonché del tentato omicidio dei carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, nei cui confronti esplodevano numerosi colpi utilizzando un mitra M12 ed un fucile calibro 12, che attingevano i due militari in parti vitali senza che l'evento morte si compisse per cause indipendenti dalla loro volontà, ovvero anche per la reazione del Serra che si sottraeva ai colpi rispondendo al fuoco con la propria arma di ordinanza (fatto commesso a Reggio Calabria, in località Saracinello l‘1 febbraio 1994).

I suindicati omicidi e tentati omicidi - commessi nella stagione degli attacchi mafiosi allo Stato - sono aggravati dalle circostanze della:
  • premeditazione, ravvisabile nella ferma risoluzione criminosa dei predetti consistita nell’aver pianificato le azioni delittuose nell’ambito di un più ampio disegno criminoso di matrice stragista ideato, voluto ed attuato dai soggetti di vertice delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa Nostra e ‘Ndrangheta;
  • finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento democratico;
  • finalità di agevolare le attività delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa Nostrae ‘Ndrangheta che intendevano costringere lo Stato Italiano, tra gli ulteriori scopi in corso di compiuta individuazione, a rendere meno rigorose sia la legislazione che, più in generale, le misure antimafia.
Rocco Santo Filippone viene inoltre riconosciuto gravemente indiziato del delitto di associazione mafiosa per aver preso stabilmente parte alla struttura organizzativa denominata ‘ndrangheta, presente ed operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, sul territorio nazionale ed all’estero e, in particolare, delle sua apicale articolazione territoriale denominata cosca Filippone - direttamente collegata alla più ampia e potente cosca Piromalli - operante in prevalenza nel locale di Melicucco, con il ruolo di dirigente, cui sono demandati compiti di particolare rilievo tra i quali:
  • gestire la struttura associativa riferibile al locale di Melicucco, in ossequio alle direttive riferibili al più ampio contesto mandamentale e provinciale;
  • incontrare i capi delle altre famiglie di ‘ndrangheta per dare esecuzione alle decisioni di maggior rilievo criminale, deliberate dalla componente riservata della predetta organizzazione di tipo mafioso, tra le quali quelle di aderire alla strategia stragista di attacco alle istituzioni dello Stato, attuata in Calabria in sinergia con Cosa Nostra mediante la consumazione degli omicidi e tentati omicidi già indicati, materialmente eseguiti da Giuseppe Calabrò e Consolato Villani;
  • affrontare e risolvere le varie problematiche operative e gestionali che riguardano la più ampia organizzazione di appartenenza.
La Direzione distrettuale antimafia reggina ha ricostruito - attraverso l’apporto di nuovi e fondamentali elementi raccordati e collegati fra loro - le causali del duplice omicidio del 18 gennaio 1994, dei due tentati omicidi dell’1 dicembre 1993 e dell’1 febbraio 1994 dei carabinieri; ha individuato alcuni mandanti, nonché la pista e gli scopi sottesi a tali delitti.

Le vicende delittuose in esame vanno a collocarsi nel contesto della strategia stragista che ha insanguinato il Paese nei primi anni 90’ e in particolare in quella stagione definita delle “stragi continentali”. Protagonista di quella stagione, secondo quanto emerso dalle indagini, non fu solo Cosa Nostra (che tuttavia ebbe il ruolo operativo fondamentale nei termini già ampiamente descritti dalle sentenze delle Autorità giudiziarie di Firenze) ma anche la ‘Ndrangheta: E sullo sfondo appare chiara la presenza di suggeritori occulti da individuarsi in schegge di istituzione deviate (a loro volta collegate a settori del piduismo ancora in cerca di rivincite).

In particolare, il 18 gennaio 1994 venivano uccisi sull’autostrada Salerno - Reggio Calabria, all’altezza di Scilla, i Carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo.

Nella notte fra l’1 e il 2 dicembre 1993, l’azione criminale era indirizzata ai danni dei carabinieri Vincenzo Pasqua e Silvio Riccardo e, l’1 febbraio 1994, ai danni dei carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, la morte dei quali veniva evitata solo per casuali e fortuite coincidenze. In entrambi i casi, gli attentati venivano posti in essere in località Saracinello, nella zona periferica meridionale della città.

I tre efferati delitti presentavano caratteristiche comuni: oltre ad essere compiuti nella cintura periferica cittadina, erano stati posti in essere, attraverso l’utilizzo, in tutti e tre gli episodi, della medesima arma automatica (un mitra M 12), ai danni di pattuglie automontate, che, di notte, erano impegnate in normali turni di controllo del territorio.

L’inchiesta della Dda reggina - grazie all’apporto di nuovi ed inediti esiti investigativi – individua, come detto, la matrice degli episodi delittuosi in pregiudizio di esponenti dell’Arma dei carabinieri, i quali non vanno letti ciascuno in maniera singola ed isolata, ma vanno piuttosto inseriti in un contesto di più ampio respiro e di carattere nazionale e nell’ambito di un progetto criminale, la cui ideazione e realizzazione è maturata non all’interno delle cosche di ‘ndrangheta, ma si è sviluppata attraverso la sinergia, la collaborazione e l’intesa di organizzazioni criminali, che avevano come obiettivo l’attuazione di un piano di destabilizzazione del Paese anche con modalità terroristiche.

Al riguardo, le indagini hanno rivelato come le più importanti riunioni tra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra - volte ad assumere le decisioni operative (tra cui la progettazione degli agguati ai Carabinieri) - si sono svolte nella zona tirrenica della provincia di Reggio Calabria, dove stabilmente risiede la cosca Filippone e il suo capo e dove si sono recati i componenti dell’organizzazione criminale siciliana, convocati su input dello stesso Rocco Filippone.

Secondo l’impostazione accusatoria, l’obiettivo strategico delle azioni contro i carabinieri, al pari di quello degli altri episodi stragisti citati, era rappresentato dalla necessità, per le mafie, di partecipare a quella complessiva opera di vera e propria ristrutturazione degli equilibri di potere in atto in quegli anni. E tale strategia appariva condivisa, come detto, da schegge di istituzioni deviate da individuarsi in soggetti collegati a servizi d’informazione che ancora all’epoca mantenevano contatti con il piduismo. Sul punto le indagini hanno evidenziato come la stessa idea di rivendicare con la sigla “Falange Armata” le stragi mafiose e vari delitti compiuti dalle mafie (fra cui quelli per cui è stata emessa l’ordinanza eseguita oggi) è da farsi risalire a suggeritori da individuarsi in termini di elevatissima gravità indiziaria, in appartenenti ai servizi d’informazione dell’epoca, nei cui confronti, comunque, le indagini proseguiranno.

Il  disegno terroristico mafioso era, dunque, servente rispetto ad una finalità “più alta”, che prevedeva la sostituzione di una vecchia ed inaffidabile classe politica con una nuova che fosse diretta espressione delle mafie, e, in quanto tale, proiettata a garantire e realizzare “i desiderata di Cosa Nostra”.     Si stava attraversando un periodo di grandi cambiamenti a livello nazionale (ma anche internazionale) di natura storica e politica, in cui tutte le organizzazioni criminali, dopo il tramonto della “prima Repubblica”, intendevano continuare a mantenere l'influenza sulla classe politica proiettandosi su quella emergente nella nuova fase storica che si stava delineando.

Al culmine della strategia stragista del ’93, a partire dal mese di settembre, e quindi in epoca immediatamente successiva agli altri attentati posti in essere nel continente (Roma, Firenze e Milano), era stata organizzata una strage di proporzioni immani facendo saltare in aria alcuni pullman dei Carabinieri in servizio a Roma allo stadio Olimpico in una delle tante domeniche “calcistiche” particolarmente affollate, attentato (dichiarazioni Spatuzza) che doveva essere eseguito nella terza decade del gennaio 1994 e che falliva soltanto per un guasto tecnico al telecomando che avrebbe dovuto innescare l’ordigno.

Ebbene, negli atti della presente indagine, viene dimostrato come, non solo, la pista terroristica fosse coltivabile, ma, anche, fondata: pezzi importanti della ‘ndrangheta tirrenica -d’intesa con esponenti reggini - diedero assicurazione ai corleonesi, rappresentati da  Giuseppe Graviano, di aderire alla strategia terroristica di Cosa Nostra che, dopo le stragi continentali, doveva prendere di mira gli appartenenti alle forze dell’ordine e, in particolare, i carabinieri.

Tali componenti ‘ndraghetiste, a loro volta, delegarono i Filippone a presiedere all’organizzazione degli attacchi ai carabinieri in terra calabrese. Quindi, i Filippone individuarono nel giovane Giuseppe Calabrò (nipote di Rocco Santo Filippone, poiché figlio della sorella Marina), l’uomo che doveva materialmente eseguire gli assalti, in quanto egli, dotato di una eccezionale preparazione militare ed una straordinaria dimestichezza con le armi, era privo di scrupoli ed ansioso di affermarsi in ambito criminale.

Calabrò e Villani vennero poi aizzati a scatenare la strategia di attacco contro i carabinieri dal defunto Demetrio Lo Giudice, classe 1937, emissario della cosca Libri per il quartiere Reggio Campi che fece crescere da un punto di vista militare e criminale il Calabrò e che infine lo spinse ad eseguire i delitti in contestazione; tale dato risulta coerente in relazione alla posizione assunta dalle cosche di ‘ndrangheta di cui Rocco Filippone e Demetrio Lo Giudice erano, all’epoca, eminenti rappresentanti (vale a dire quella dei Piromalli-Molè-Pesce, il primo e dei De Stefano - Libri - Tegano il secondo) che, non a caso, erano le famiglie di ‘ndrangheta che, all’epoca, avevano manifestato maggiore apertura nell’appoggio a Cosa Nostra nella strategia stragista.

La vasta piattaforma investigativa si basa sulle escussioni di numerosissimi collaboratori di giustizia da parte del dottor Giuseppe Lombardo (procuratore aggiunto Dda di Reggio Calabria) e dottor Francesco Curcio (sostituto Dna di Roma) nel corso dell’inchiesta, sia sul versante calabrese (Antonino Lo Giudice, Consolato Villani, Antonino Fiume, Filippo Barreca, Cosimo Virgiglio, Vincenzo Grimaldi, Francesco Pino,  Pasquale Tripodoro, lo stesso Giuseppe Calabrò e molti altri) sia siciliano (Maurizio Avola, Pietro Carra, Giovanni Garofalo, Francesco Onorato, Giovanni Brusca, Antonino Calvaruso, Giovanni Drago,  Tullio Cannella, Gioacchino Pennino e molti altri), attraverso anche l’acquisizione delle dichiarazioni rese nel corso di altri procedimenti penali soprattutto da Gaspare Spatuzza, già capo mandamento di Brancaccio, il quale ha vissuto dall’interno ed in modo completo tutta la vicenda delle stragi del ’93 e del ’94, dai progetti condivisi ai momenti esecutivi.

Nel corpo dell’ordinanza, la ‘ndrangheta emerge non solo perché era in stretti rapporti con Cosa Nostra, ma in quanto risultava particolarmente inserita in quei rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta, proprio in quel periodo stragista in cui entrambe le organizzazioni (Cosa Nostra e ‘Ndrangheta) sostennero il disegno federalista attraverso le leghe meridionali.

A tal proposito, nella complessiva ricostruzione dei fatti, assume inoltre particolare rilievo la vicenda della riunione intermafiosa di Nicotera Marina (Vibo Valentia), avvenuta dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, svolta all’interno del villaggio turistico Sayonara, controllato dalla famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), come noto legatissima a quella dei Piromalli che aveva come tema proprio la questione stragista: non a caso, a Nicotera, per interloquire con Cosa Nostra su questa delicatissima questione, vennero  chiamati a partecipare tutti i capi della ‘ndrangheta, da Cosenza a Reggio Calabria, ciò a dimostrazione della unitarietà della ‘ndrangheta, ovvero del suo atteggiarsi a forza mafiosa che verso l’esterno si presentava unita e compatta.

È importante sottolineare che l’allora capo indiscusso della mafia siciliana, Salvatore Riina era stato il promotore della richiesta alla ‘ndrangheta di cooperare alla strategia stragista di Cosa Nostra, con l’individuazione degli obiettivi istituzionali da colpire; altre analoghe riunioni si svolsero tutte nella zona del mandamento tirrenico (Rosarno, Oppido Mamertina, Melicucco) in ambiti territoriali sottoposti alla giurisdizione dei Mancuso - Piromalli - Pesce - Mammoliti.
Ciò, evidentemente, perché Cosa Nostra, aveva indirizzato proprio ai Piromalli - Molè - con i quali i rapporti erano strettissimi - la richiesta di promuovere gli incontri in questione in vista di una adesione generalizzata della ‘ndrangheta alla strategia stragista che Cosa Nostra aveva deciso di intraprendere.


In relazione a tali località della fascia tirrenica ed a numerosi personaggi menzionati dai diversi collaboratori di giustizia, aderenti alle varie cosche di ‘ndrangheta, la Squadra mobile ha svolto ogni attività di riscontro, oltre che effettuare svariate operazioni di intercettazioni telefoniche,ambientali e di altra natura.

L’odierna operazione di polizia, denominata ‘'ndrangheta stragista’ che fa luce su alcuni mandanti e sulla causale mafioso-stragista degli attentati posti in essere in danno dei carabinieri nella provincia di Reggio Calabria negli anni ’93 e ’94, si colloca nel solco delle più recenti operazioni antimafia della Dda reggina,  come ulteriore momento dell’incisiva azione di contrasto alla ‘Ndrangheta.

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